Mafia quale strumento di oppressione nelle mani di poteri esterni alla Sicilia

Sicilia Pugnalata!

Il post sull’antimafia ha destato un certa reazione da parte di alcuni critici. La cosa mi fa piacere perché, probabilmente per la prima volta, alcuni soggetti sono venuti a contatto con idee differenti da quelle inculcate dalla scuola, dall’università e dai media e comprendo anche la loro ritrosia nell’accettare determinati punti di vista che dovrebbero, invece, essere naturali per chi è libero da pregiudizi.

L’accusa addebitatami è di non aver spiegato perché sostengo che la mafia sia uno strumento di oppressione esterna alla Sicilia (cosa che non ho fatto solo per non appesantire il post, ma che seguendo il blog si intuisce) aggiungendo, inoltre, senza motivare a loro volta, che tale affermazione sia “un errore in sé”. E qui si manifesta il primo DOGMA.

Come se non bastasse si afferma che la conclusione dell’indipendenza, quale soluzione al problema della mafia, sia corretta sotto il profilo della logica “se non fosse che la premessa risulta falsa”. E qui si manifesta il secondo DOGMA.

Come al solito chi poggia le proprie convinzioni su idee consolidate parte dal presupposto di avere ragione e crede di essere un giudice super partes, non rendendosi conto, invece, di essere un giocatore in campo alla stregua di chi la pensa diversamente, e quindi trovo alquanto incoerente e ipocrita accusare gli altri di non argomentare e poi sentenziare, o offendere, senza alcuna argomentazione.

Fatta questa doverosa premessa, entriamo nel merito della questione.

Non mi pare di essere il primo ad accusare l’antimafia, non credo, infatti, di dover ricordare, ad esempio, il famoso e virulento articolo di Sciascia in cui si accusavano degli idoli intoccabili dell’antimafia o degli antimafiosi di ieri e di oggi. Io non accuso solo qualche antimafioso, ma anche il concetto stesso di antimafia che – come già scritto nel post in questione e quindi non è necessario soffermarmi oltre – comporta il fatto che fin quando non ci definiamo antimafiosi, siamo mafiosi.

Passando al discorso della mafia quale strumento di oppressione esterna alla Sicilia, beh, non è che ci voglia chissà quale mente acuta per arrivare a concepire un tale concetto.

Il solito Sciascia (ma lui acuto lo era) sosteneva che “se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi”.

Ma proviamo a riflettere un po’, ad esempio, su quando s’incomincia a parlare di mafia in Sicilia: mi pare poco dopo l'”unità”. E mentre si denunciava la presenza di tale fenomeno lo si alimentava con le autorità di polizia che affidavano la gestione dell’ordine pubblico ad elementi criminali.

Oppure riflettiamo su quale sia il momento di massimo fulgore della mafia, che mi pare vada dalla fine degli anni ’50 agli inizi degli anni ’90 del Novecento, guarda caso il momento di massima forza dello Stato italiano con i partiti italiani (la cui testa non si trova certo in Sicilia) che detenevano veramente il potere con la loro capillare ramificazione su tutto il territorio.

Ma se mafia e Stato (italiano) fossero poteri contrapposti, all’emergere di uno non avrebbe dovuto venire meno l’altro?

Per logica direi di sì e invece il loro cammino è andato di pari passo, e infatti dopo “mani pulite” che ha sancito la fine dello Stato italiano (ancora oggi siamo in una fase di transizione verso gli Stati Uniti d’Europa) è finita pure la “mafia”.

E non mi venite a raccontare la minchiat*, non argomentata, che ora si muove sottotraccia perché nessuna persona con un po’ di sale nella zucca può credere veramente che uno Stato organizzato, e con i servizi segreti tra i più efficienti, non possa rintracciare delinquenti che vivono in un’area relativamente circoscritta.

il Generale Dalla Chiesa fu ucciso dopo appena cento giorni, lasso di tempo in cui non gli era stato dato nessun potere concreto e difatti nulla aveva potuto concretamente fare.

A voi menti raffinate, ciò, non fa venire il dubbio che forse che il suo invio in Sicilia equivaleva ad una condanna a morte per la cui esecuzione non si poteva certo ingaggiare un plotone ufficiale?

Riguardo Pio La Torre, proprio per l’anniversario della sua morte di qualche giorno fa, il figlio ha dichiarato che dietro l’omicidio non c’è solo la “mafia”.

E cosa starebbe a significare secondo voi il fatto che Borsellino sapeva e temeva di essere spiato dai servizi segreti? O che la sua agenda è sparita e non si sappia che fine abbia fatto?

Oppure che l’”introvabile” Riina è stato arrestato, appena qualche mese dopo le stragi, a Palermo, luogo da cui non si era mosso, e che il suo covo fu ripulito impedendo di recuperare tutto il materiale scottante e compromettente?

Oh, voi che siete illuminati da divina saggezza, illuminate anche questo povero stolto, ditemelo voi tutto ciò cosa significa!

Bisogna considerare, inoltre, che quello tra gli anni ’50 agli anni ’90 del Novecento è anche il periodo della Guerra Fredda e non è da scartare l’ipotesi che la “mafia” possa essere stata usata nei giochi internazionali che contrapponevano i due blocchi. La storiografia dovrebbe interrogarsi sul come mai le varie stragi non solo “mafiose”, ad esempio quella di Ustica, o l’omicidio di Mattei, si concentrino in quel periodo.

 

Ma poi cos’è questa “benedetta” mafia? Ed esiste una solo mafia?

Abbandonata l’idea culturalista, ossia la tesi secondo cui la mafia fosse un modo di essere siciliano, possiamo dire che essa sia un organizzazione criminale.

Ora sorge un’altra questione: è una organizzazione criminale come le altre o c’è qualcosa che la distingue.

Secondo l’art. 416 bis:

“L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

Secondo la legge, quindi, ciò che distingue un‘organizzazione mafiosa da una qualsiasi organizzazione criminale sono le modalità di azione e i fini del loro agire.

Secondo questa definizione, quindi, la mafia non è un fenomeno prettamente siciliano potendosi manifestare in qualsiasi luogo. Però quella legge fu fatta proprio per identificare un fenomeno siciliano e approvata dopo gli omicidi di Dalla Chiesa e La Torre.

Non so, quella definizione sinceramente ha qualcosa che non mi convince.

Agli inizi dell’ultimo decennio del ‘900, diversi commercianti di un paese della costa settentrionale della Sicilia, coalizzandosi, si ribellarono alle estorsioni effettuate da un gruppo di persone di un paese vicino. Si disse che era il primo paese a ribellarsi alla mafia.

In effetti stando alla definizione della sopraindicata legge quelli erano veri e propri mafiosi. L’avvocato che li difendeva, nel processo, disse che i suoi assistiti, dopotutto, non erano come i mafiosi di Palermo o Corleone.

E aveva ragione pure lui. C’era una grossa differenza tra le due organizzazioni. La differenza stava nel fatto che quelle di Palermo e Corleone avevano protezione politica e istituzionale, mentre questi non ne avevano e infatti furono presi subito. Questo è anche il motivo per cui nel palermitano non si denunciava, mentre nell’altro caso un intero paese denunciò.

E perché gli uni avevano protezione politica e istituzionale e quegli altri no?

Il motivo bisogna ricercarlo forse nel luogo di azione. L’area nebroidea è un luogo marginale dal punto di vista economico, politico ed elettorale per la Sicilia, mentre Palermo è un punto nevralgico.

In conclusione, cari miei, il pesce puzza sempre dalla testa e la testa dello Stato italiano non è la Sicilia; senza dimenticare, inoltre, che lo stesso Stato italiano ha subito pressioni esterne soprattuto nel periodo della Guerra Fredda.

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